La pandemia ha amplificato il “lavoro da casa”: si è passati dai 570mila impiegati del 2019 ai 5,35 milioni attuali come registrato dai dati raccolti dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano: sono le cifre, di crescita esponenziale in Italia, dello smart working, o meglio del lavoro da casa (WHF) come è più corretto definire l’aver trasferito l’ufficio a causa per l’emergenza sanitaria in corso da quasi un anno. Però con l’era dello smart working sono nate anche le scuse digitali.
Il 42% degli intervistati ha confermato di aver utilizzato almeno una volta una di queste giustificazioni per evitare di partecipare ad una riunione online.
Il repertorio delle scuse più frequenti, tutte in linea con la “nuova” situazione lavorativa, sono abbastanza prevedibili: se il meeting, ad esempio, non va come dovrebbe è ovviamente tutta colpa della connessione, mentre per evitare di rispondere ad una domanda a bruciapelo si ricorre al microfono in mute.
C’è poi chi utilizza sfondi improbabili per nascondere il caos nell’appartamento. I rumori di sottofondo sono sempre responsabilità del partner o dei vicini intenti a fare pulizie o ad ascoltare musica.
Il 72% ha anche ammesso di tenere spenta la telecamera durante i meeting per evitare di mostrarsi ancora in pigiama o con outfit improbabili.
E i corrieri? Ovviamente citofonano sempre quando si sta per iniziare qualcosa di importante e ovviamente fanno fare tardi.